Vuoto

Horror Vacui.

Troppe parole caotiche, eccessive, non servono a trasmettere ma semplicemente a riempire uno spazio, a dare l'illusione che sia pieno e pregno.
Basta.
Di fronte questo abuso della parola, del suono, del colore, ammassati con la sola funzione di scacciare un'atavica paura, io trovo più eloquente
Il Vuoto.

29 Settembre

XIII

Amor che guida lo sguardo mio al cielo

desìarmi fece d'aver bella preda

ma 'l dardo scagliato pe' l'azzurro velo

Ferir non può il di Giove messaggero

né il falcon da lo sguardo fiero

A più mite augel si convien ch'io miri

che troppo in alto quei posan le ali

più che l'arco mio del cor non tiri

Ma non avrò in cor mio alcuna pace

senz'aver al laccio l'aquila rapace

lunedì 24 gennaio 2011

Un Sogno

Si racconta che un tempo, prima che la locomotiva sostituisse coi suoi pesanti stantuffi i muscoli tesi dei cavalli, una vecchina chiese ad un uomo a cavallo di accopagnarla a nord. In cambio gli promise dieci monete d'oro. L'uomo, che non era uno sprovveduto, chiese alla donna di mostrargli le monete. Essa allora spalancò con un sorriso la sua borsetta di cuoio, sul fondo della quale scintillava un mucchietto d'oro. All'uomo bastò uno sguardo per riconoscere quella borsa: era la leggendaria Borsa di Fortunato, della quale si dice che ogni volta che venga aperta vi si trovino dieci splendenti monete d'oro.

Inebriato dall'avidità, l'uomo fece dapprima salire la vecchia sul suo cavallo mostrandole ogni cortesia per poi, giunti sul crinale di una collina, strapparle improvvisamente la borsa di mano e gettarla a terra. La derelitta cadde a terra e si ruppe tutte le ossa, e mentre l'uomo già galoppava lontano in preda ad un'euforia maligna, essa gli lanciò una maledizione con l'ultimo fiato che aveva in corpo. "Morirai – gli urlò – senza avere speso nessuna di quelle monete. Non toccherai mai quell'oro, e se cercherai di farlo sarà la tua fine!". Queste parole risuonarono a lungo nell'aria, e quando si spensero insieme a loro si spense anche colei che le aveva pronunciate.

L'uomo non vi diede peso, ma mentre stava attraversando una valle stretta come un canyon, tra due alti muri di roccia liscia, all'improvviso la cinghia di cuoio che reggeva la borsa iniziò ad allungarsi. L'uomo allarmato tirò la cinghia nel tentativo di recuperare la bosa, ma più la tirava più essa si allungava.

Dovette scendere da cavallo perché nel frattempo la borsa aveva toccato terra e la cinghia continuava ad allungarsi. Ormai la borsa era nascosta da un mucchio di cuoio, e l'uomo si mise d'impegno, ancora incredulo per quanto stava accadendo, a scavare con le mani tra il cuoio; ma esso si moltiplicava con tale velocità che mentre l'uomo aveva spostato un piccolo mucchio, un'altro più grande si era già formato al suo posto. E così continuò per tre giorni e tre notti ininterrottamente finché non cadde, esausto, seppellito da una montagna di cuoio.

Oggi quella valle non è più tale: al suo posto c'è un luogo considerato tra i più bizzarri al mondo: l'unica miniera di cuoio a cielo aperto della terra.

Attorno all'immenso pozzo, si è costruita una città, dove vivono conciatori, pellicciai, calzolai e ogni tipo di artigiani che lavorano il cuoio. Ogni giorno arrivano lunghe carovane provenienti da tutti gli angoli della terra per comprare a poco prezzo borse, scarpe, giacche, cappotti, per non parlare di tutti quei prodotti di artigianato che sono stati inventati dai maestri del luogo: esperti lavoratori di cuoio che da generazioni elaborano nuovi metodi per costruire con la materia prima di cui hanno tanta disponibilità quasi qualunque cosa. Chi cammina per le vie di tale città può osservare tetti di cuoio, panchine di cuoio, persino pali della luce di cuoio.

Se chiedete a qualche anziano di raccontarvi la storia della città del cuoio, egli vi narrerà alcune leggende distorte dal tempo, nelle quali si parla di un uomo che scambiò una borsa piena d'oro per un pozzo infinito di cuoio.

mercoledì 19 gennaio 2011

Sottosuolo

Voilà, rieccomi qui a scrivere in prima persona.
Dopo tanto tempo la prima cosa che mi viene da fare è rinnegare tutto ciò che ho scritto qui in precedenza. Oddio, forse tutto no, rileggendo bene mi accorgo che alcune cose mi piacciono ancora, ma sono oasi nel deserto.
La cosa che mi scoccia di più è l'aver scritto e pubblicato tutte queste cose per posa.
Si, sarebbe ipocrita dire come fa qualcuno che "scrivo solo per me stesso" o "per amore dell'arte e dell'estetica". Ho scritto quel che ho scritto per essere letto, anzi con lo scopo di essere letto ed apprezzato, non è forse questo lo scopo di chiunque scriva? ma adesso mi sto giustificando. Anche questo testo che sto scrivendo e che tra breve pubblicherò è scritto per posa, ma che ci si può fare? almeno si mantiene la linea di coerenza.
Ammetto di vergognarmi un po' di quelle sottospecie di poesiole che ho pubblicato in questa sede, forse quando le ho scritte avevo pure delle pretese a riguardo, ma vi prego di considerarle, oggi, senza la minima pretesa.
Ma qui mi sto giustificando ancora.
Mi sembra di star scrivendo solo per giustificarmi, e che le altre motivazioni siano secondarie. Certo, la voglia di tornare a scrivere qui mi è venuta come la voglia che viene ogni tanto a ciascuno di rispolverare qualche vecchio gioco e tornare a giocarci per una sera.
Ma tornando al discorso di prima, il contatore di visite non mostra una grande affluenza a questo ammasso di scritti, ma tanto lo so benissimo, che se qualcuno al di fuori di me leggerà queste righe sarà uno dei soliti due o tre che ogni tanto magari, non sapendo cosa fare, vengono a vedere se per caso ho scritto qualcosa.
Ecco qui. E forse questa roba è persino più interessante di tante altre sciocchezze che ho scritto.
Arrivati a questo punto, vi chiederete dove voglio andare a parare (o forse non ve lo chiedete, ma a me piace pensare che in questo momento ve lo stiate chiedendo).
Francamente non so dove voglio andare a parare o forse faccio finta di non saperlo. Lo spirito di questo blog era fin dall'origine quello di non avere scopo.
L'ho tradito fin dalla prima riga, perché invece lo scopo l'ha avuto. Attirare l'attenzione, cercare di scrivere qualcosa che piacesse qualcuno, gongolare rileggendo quelle sciocchezze che allora mi parevano capolavori di estetica e cose assai profonde.
Magari lo erano, non ricordo.
Ma ora sto menando il can per l'aia, sto tirando in lungo perché non so più che scrivere. Noto adesso che in fondo mi fa anche piacere lo scrivere in quanto tale.
Bene, ai vecchi tempi avrei cercato un finale ad effetto per chiudere in bellezza, ma ora non ne ho voglia, mi sembra sciocco. (o forse lo faccio ancora e questo mi sembra proprio un bel modo per chiudere in bellezza, ah che capolavoro!)

sabato 11 dicembre 2010

Overture

Nell'incalzante volta celeste, un microscopico punto di luce

attira il mio sguardo più dell'infinita oscurità.

È Speranza, è Lontananza.

Uno specchio cangiante la riflette:

sulla superficie dell'acqua mille minuscoli bagliori

scintillano e danzano come stelle cadenti

e attraverso i miei occhi quei lampi lontani

al confine tra il lago e il cielo

illuminano la mia Anima.

sabato 24 aprile 2010

Harakiri

Separati da un sottile velo di carne
due cuori battono freneticamente.
Un cuore umano
spezzato, distrutto
svuotato di tutto
ma colmo di Rabbia e Orgoglio esplosivo.
Presagio Emotivo.
Un cuore metallico
ordigno meccanico
resta impassibile, freddo e distante
batte i secondi, impaziente di vivere
in un unico, intensissimo istante.
E la vita dell'uno è la morte dell'altro
e il trionfo dell'uno è il trionfo dell'altro
e lo scoppio finale è rovina soltanto a metà
e la parte che manca permane tra Mente e Irrealtà.
Ma prima che il mio corpo sia sparso nel vento,
la mia anima scheggerà il firmamento.

mercoledì 7 aprile 2010

L'uomo che perse il Tempo

Mr. Douglass uscì trotterellando dall'ufficio del notaio. Sul suo volto rotondo e paffuto da uomo di mezz'età, splendeva un sorriso di soddisfazione. Anche quest'affare era andato in porto: d'altra parte – si domandava retoricamente Mr. Douglass – quando mai non era stato così?
In effetti Mr. Douglass godeva in quel momento di quella sicurezza tipica di coloro ai quali da qualche tempo va tutto bene, senza alcun intoppo. Si sentiva forte, coraggioso, rinvigorito. Era tranquillo, come capita sempre agli uomini che amano pianificare nei minimi dettagli la loro vita quando non si intravede nemmeno l'ombra di un imprevisto che possa turbare i loro progetti.
Dopo aver controllato sulla sua piccola agendina gli altri appuntamenti del giorno, non seppe resitere alla tentazione di dare un'occhiata al suo vecchio orologio. Ci sono persone ossessionate dagli orari e persone per le quali dare un'occhiata all'orologio ogni quarto d'ora è un rito indispensabile, ma Mr. Douglass ne aveva fatto una vera e propria mania. Non andava da nessuna parte e non faceva nulla senza il suo vecchio orologio, che amava consultare continuamente: quando era affaccendato nel proprio lavoro, lo guardava sempre con una punta di ansia, come se fosse sempre in ritardo, e durante i periodi di pausa poteva passare anche dieci minuti a fissare quelle lancette muoversi. Amava molto vedere quel delicato meccanismo misurare lo scorrere il tempo. Il Tempo gli aveva sempre destato un certo interesse, l'interesse di qualcosa che non si capisce ma che si ama osservare, e Mr. Douglass guardava il Tempo né più né meno di come gli spettatori di un gioco di prestigio guardano il prestigiatore cercando di capirne i trucchi. Questo suo interesse riguardo al Tempo lo faceva sentire superiore: "gli altri non vedono il Tempo – Diceva – ci passano solamente attraverso, come dei pesci nell'acqua, e non si fanno domande. Per me è diverso: io lo osservo e cerco di capire".
E così, anche se aveva appena potuto vedere su un enorme orologio a muro nello studio del notaio che erano le dieci e ventitre minuti, si avvicinò il polso al viso e spostò delicatamente il polsino della camicia per controllare l'ora.
L'orrore si dipinse sui suoi occhi quando vide che sul polso non c'era nulla: l'orologio era scomparso. Non poteva crederci. In un attimo ebbe un lampo di somma consapevolezza e di follia mescolate assieme. E ricordò.
Ricordò che quell'orologio aveva scandito il ritmo delle sue giornate fin da quando era bambino.
Ricordò la guerra, i bombardamenti a Londra, e che un giorno papà non tornò a casa dal lavoro e la mamma piangeva. John, il collega di papà alla fabbica, disse che i tedeschi sapevano che in quella fabbrica si costruivano munizioni e non scarpe e la bombardarono. E di papà fu ritrovato solo il braccio sinistro, quello con l'orologio acora al polso, miracolosamente intatto e funzionante. Quando Mr. Douglass se lo mise al polso per la prima volta, fu come se una tremenda consapevolezza si fosse impossessata di lui. Qualcosa era cambiato.
Ricordò il duro lavoro ai tempi del liceo e dell'università, con l'orologio del padre che scandiva il suo tempo: separava per lui le ore di studio dalle ore di riposo, con precisione infallibile. Un giorno, per il troppo studio della notte precedente, Mr. Douglass non si svegliava: immerso nei suoi sogni non ricordava che quel giorno aveva un esame fondamentale e a suo dire, fu proprio l'orologio ad impedire che lo perdesse. Gli sembrò di sentire come una scossa provenire dal suo polso sinistro, accompagata da una voce impercettibile: "è l'ora!". Lo udì distintamente, ma poi si convinse di essersela immaginata nel dormiveglia .
Ricordò come era elegante il suo vecchio orologio il giorno del suo matrimonio con Ellen. Sembrava più brillante del solito, guardando le lacette sembrava sorridergli. Negli anni seguenti al matrimonio amava raccontare scherzosamente agli amici che era stato proprio l'orologio a permettergli di conoscere Ellen. Infatti un giorno d'estate, mentre Mr. Douglass sedeva su una panchina nel parco a osservare l'orologio battere i secondi, la sua futura moglie gli si sedette accanto e gli domandò cosa stava aspettando con tanta impazienza. Mr. Douglass colpito dalla sua bellezza rispose: "aspettavo te".
Ricordò con quanta ansia guardava quel quadrante, come aspettandosi che il suo sguardo accelerase il tempo, mentre all'ospedale attendeva la nascita del suo primo figlio, Robert. Qualche anno più tardi avrebbe detto al figlio che un giorno quell'orologio sarebbe stato suo. Sentiva dentro di se di non amare l'idea di separarsi dall'orologio, nemmeno dopo la morte, ma era come se l'orologio stesso lo rassicurasse che era giusto così. Poi non ci pensò più
Ricordò delle mille e più volte in cui l'aveva guardato, osservato, esaminato minuziosamente nei più piccoli particolari, ricordò quel ticchettio metallico che aveva accompagnato tutta la sua vita.
E ad un tratto si ricordò che ora quel ticchettio non c'era più. La mancanza di quel piccolo rumore nelle sue orecchie gli sembrò un silenzio più assordante di qualsiasi rumore. Appena si rese conto di quello che era successo, fece per voltarsi di scatto e tornare a cercarlo nell'ufficio del notaio ma in un istante capì che non era possibile.
Rovinò al suolo senza vita senza avere il Tempo di accorgersene.

giovedì 4 febbraio 2010

Il tutto è più della somma delle parti

Come cominciare se non dal parto,

parto e chissà quando tornerò. Chi mi cerca troverà il seme della vittoria sotto la bandiera, abbandonato sotto il cielo d'estate. Tre ciechi vennero tutti insieme chi cantava una strofa, chi un'altra ma tutti e trentatrè contemporaneamente.

Se mi fermo sono tutti qui, ma non già ormai con la riserva che se non io mi piacerebbe tutto quanto lui se non me ne trova uno lo spacco senz'altro ma non perdono giammai, tocco ma non perdono.

Trefilate di seguito son tante e me le pappo tutte quante fi fai fi feffe fi fai fo fu, se non tornerò stasera mi nascondo in ciminiera se non salti sotto al tetto tira fuori il copriletto se non mangi ciò che dormi non troverai ciò che cerchi se non tra i porci. Per chi aspetta al cimitero non saprà mai se fossi sincero, come anche se no altrimenti, perché no, d'altra parte.

Anche andando avanti non si prosegue mai come tre trattori che saltano e bevono ma mai cadranno se non si va non si torna chi più ne ha più ne metta e tutti fuori in bicicletta. Trallallro trallalla chissà quando finirà se la morte vuol coraggio tu ribatti fogli faggio.

Questa sera inizierà il gioco di fuffolo di tu tiallolillallero filo questo e lutto intero la pesca matura disse al fico ghiociialemme lupp liro puzza lupa lipo lero.


Troppe avversità violarono il fato non in cui ma mentre se chi uccise fu salvato chi nuota non avrà mai capito la verità sta nel suono ma il nascondiglio del sogno si palesa solo a coloro i quali si indossa bermuda, nonostante la stagione calda come quando si suonò abbondantemente ma con coerenza, sebbene non credevo in lui, egli raggiunse il traguardo come rapido falco avvinghiò la preda in uno spasmo di colore.

Trinisfera sia sincera se non dorme torta pera, se l'ambicco col colbacco pianta forte donna sasso.

Troppo tempo troppo vuole non ritornan le parole che non volle così colà tutto quel che non è stato sarà non in un' illusione primaverile ma quanto più in un' ombra mattutina. Nel livore del cielo scorgerò che i tempi sono maturi e l'avvento avanza.

Trame intricate di ragne decorate simbolo di fertilità e fulgore degni rivali di plasticosi idoli ribelli infangati dall'umore primordiale olocenico mesozoico del cinghiale mattutino.

Spara lento ma con contegno la gabbia della mente mentre mente la menta lallallà trallallero tralalù

venerdì 22 gennaio 2010

 
blog presentato da: Kerataal
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