Mr. Douglass uscì trotterellando dall'ufficio del notaio. Sul suo volto rotondo e paffuto da uomo di mezz'età, splendeva un sorriso di soddisfazione. Anche quest'affare era andato in porto: d'altra parte – si domandava retoricamente Mr. Douglass – quando mai non era stato così?
In effetti Mr. Douglass godeva in quel momento di quella sicurezza tipica di coloro ai quali da qualche tempo va tutto bene, senza alcun intoppo. Si sentiva forte, coraggioso, rinvigorito. Era tranquillo, come capita sempre agli uomini che amano pianificare nei minimi dettagli la loro vita quando non si intravede nemmeno l'ombra di un imprevisto che possa turbare i loro progetti.
Dopo aver controllato sulla sua piccola agendina gli altri appuntamenti del giorno, non seppe resitere alla tentazione di dare un'occhiata al suo vecchio orologio. Ci sono persone ossessionate dagli orari e persone per le quali dare un'occhiata all'orologio ogni quarto d'ora è un rito indispensabile, ma Mr. Douglass ne aveva fatto una vera e propria mania. Non andava da nessuna parte e non faceva nulla senza il suo vecchio orologio, che amava consultare continuamente: quando era affaccendato nel proprio lavoro, lo guardava sempre con una punta di ansia, come se fosse sempre in ritardo, e durante i periodi di pausa poteva passare anche dieci minuti a fissare quelle lancette muoversi. Amava molto vedere quel delicato meccanismo misurare lo scorrere il tempo. Il Tempo gli aveva sempre destato un certo interesse, l'interesse di qualcosa che non si capisce ma che si ama osservare, e Mr. Douglass guardava il Tempo né più né meno di come gli spettatori di un gioco di prestigio guardano il prestigiatore cercando di capirne i trucchi. Questo suo interesse riguardo al Tempo lo faceva sentire superiore: "gli altri non vedono il Tempo – Diceva – ci passano solamente attraverso, come dei pesci nell'acqua, e non si fanno domande. Per me è diverso: io lo osservo e cerco di capire".
E così, anche se aveva appena potuto vedere su un enorme orologio a muro nello studio del notaio che erano le dieci e ventitre minuti, si avvicinò il polso al viso e spostò delicatamente il polsino della camicia per controllare l'ora.
L'orrore si dipinse sui suoi occhi quando vide che sul polso non c'era nulla: l'orologio era scomparso. Non poteva crederci. In un attimo ebbe un lampo di somma consapevolezza e di follia mescolate assieme. E ricordò.
Ricordò che quell'orologio aveva scandito il ritmo delle sue giornate fin da quando era bambino.
Ricordò la guerra, i bombardamenti a Londra, e che un giorno papà non tornò a casa dal lavoro e la mamma piangeva. John, il collega di papà alla fabbica, disse che i tedeschi sapevano che in quella fabbrica si costruivano munizioni e non scarpe e la bombardarono. E di papà fu ritrovato solo il braccio sinistro, quello con l'orologio acora al polso, miracolosamente intatto e funzionante. Quando Mr. Douglass se lo mise al polso per la prima volta, fu come se una tremenda consapevolezza si fosse impossessata di lui. Qualcosa era cambiato.
Ricordò il duro lavoro ai tempi del liceo e dell'università, con l'orologio del padre che scandiva il suo tempo: separava per lui le ore di studio dalle ore di riposo, con precisione infallibile. Un giorno, per il troppo studio della notte precedente, Mr. Douglass non si svegliava: immerso nei suoi sogni non ricordava che quel giorno aveva un esame fondamentale e a suo dire, fu proprio l'orologio ad impedire che lo perdesse. Gli sembrò di sentire come una scossa provenire dal suo polso sinistro, accompagata da una voce impercettibile: "è l'ora!". Lo udì distintamente, ma poi si convinse di essersela immaginata nel dormiveglia .
Ricordò come era elegante il suo vecchio orologio il giorno del suo matrimonio con Ellen. Sembrava più brillante del solito, guardando le lacette sembrava sorridergli. Negli anni seguenti al matrimonio amava raccontare scherzosamente agli amici che era stato proprio l'orologio a permettergli di conoscere Ellen. Infatti un giorno d'estate, mentre Mr. Douglass sedeva su una panchina nel parco a osservare l'orologio battere i secondi, la sua futura moglie gli si sedette accanto e gli domandò cosa stava aspettando con tanta impazienza. Mr. Douglass colpito dalla sua bellezza rispose: "aspettavo te".
Ricordò con quanta ansia guardava quel quadrante, come aspettandosi che il suo sguardo accelerase il tempo, mentre all'ospedale attendeva la nascita del suo primo figlio, Robert. Qualche anno più tardi avrebbe detto al figlio che un giorno quell'orologio sarebbe stato suo. Sentiva dentro di se di non amare l'idea di separarsi dall'orologio, nemmeno dopo la morte, ma era come se l'orologio stesso lo rassicurasse che era giusto così. Poi non ci pensò più
Ricordò delle mille e più volte in cui l'aveva guardato, osservato, esaminato minuziosamente nei più piccoli particolari, ricordò quel ticchettio metallico che aveva accompagnato tutta la sua vita.
E ad un tratto si ricordò che ora quel ticchettio non c'era più. La mancanza di quel piccolo rumore nelle sue orecchie gli sembrò un silenzio più assordante di qualsiasi rumore. Appena si rese conto di quello che era successo, fece per voltarsi di scatto e tornare a cercarlo nell'ufficio del notaio ma in un istante capì che non era possibile.
Rovinò al suolo senza vita senza avere il Tempo di accorgersene.
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